Intervista ad Enrico Chiapponi
Alpino reduce di guerra del Btg. Gemona
L’Associazione “Mai Daur”, in occasione dell’incontro organizzato dal nostro socio Davide Mazzocato con il reduce di guerra, Enrico Chiapponi Alpino del Btg. Gemona, ha consegnato la tessera onoraria e la targa con l’effige del’Associazione a uno dei pochi reduci in vita della ritirata di Nikolajewka tra le file del 8^ Brigata Julia.
[06/11/2021] Mazzocato Davide: Ho avuto il piacere di conoscere per la prima volta di persona Enrico “Richéto” Chiapponi lo scorso fine settimana, quando con gli amici del trekking del 2018 siamo stati a Medesano (PR) a raccontare della Campagna di Russia e della nostra indimenticabile esperienza, prima ai ragazzi delle scuole medie e poi in serata alle persone interessate, richiamati all’auditorium di Felegara dai bravi e simpatici Alpini del Gruppo di Medesano. Enrico è davvero un “personaggio” con una carica vitale davvero unica e una forza d’animo invidiabile. Riporto per sua gentile concessione la storia di Enrico sotto le armi; fonte UNIRR.
Enrico Chiapponi è nato a Riccò di Fornovo, il 22 giugno 1922, da Attilio e Larini Caterina. Come tutti i giovani della sua epoca (erano gli anni del Fascismo) aveva fatto parte della G.I.L . Gioventù italiana del Littorio. Alla visita di Leva, nell’aprile 1941, sul suo foglio matricolare fu annotato: “titolo di studio 5a elementare, professione meccanico”, ma lui ci tiene a precisare che aveva frequentato fino alla 3° Avviamento professionale, conseguendo un titolo di studio abbastanza avanzato per quei tempi, e che la sua professione era: commesso di stoffe.
Enrico fu chiamato alle armi il 15 gennaio 1942 nell’8° Reggimento Alpini e due giorni dopo assegnato al Battaglione Gemona bis in zona dichiarata in stato di guerra. Il Battaglione Gemona era di stanza a Tarcento (UD) ma le reclute delle classi 1921-1922-1923, trascorsero la prima fase di addestramento a Plezzo, cittadina allora in territorio italiano (ora Bovec in Slovenia), dove c’erano alcune caserme e accantonamenti degli alpini. Da questa località, poco distante da Caporetto, le reclute effettuavano marce e ascensioni sul Rombon e sul Canni. Chiapponi ricorda che a Plezzo il rancio era scarso e si pativa discretamente la fame. La loro presenza non era particolarmente gradita dalla popolazione, in maggioranza slovena. Questi territori erano stati assegnati all’Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale e torneranno alla Jugoslavia (Slovenia) dopo la fine del secondo conflitto.
Mentre le reclute del Gemona bis, della classe 1922, erano in addestramento a Plezzo, una grave sciagura si abbatteva sul battaglione permanente che stava rientrando in Patria proveniente da Patrasso. Nella notte fra il 28 e 29 marzo 1942, un convoglio di navi che trasportava parte della Julia fu attaccato da sommergibili inglesi e il piroscafo Galilea, con a bordo gli alpini del Gemona e soldati di altri reparti, fu affondato nel Mar Jonio. Gli alpini del suddetto battaglione erano 691 e se ne salvarono solo 144; la maggior parte erano giovani della classe 1921 e tanti provenivano dalle valli e dalle montagne del parmense. Questi ragazzi, dopo un primo addestramento a Plezzo, nell’agosto 1941 avevano raggiunto la Divisione Julia nella zona del canale di Corinto, dove questa grande Unità era rimasta di presidio al termine della vittoriosa ma disastrosa campagna di Grecia (ottobre 1940 – aprile 1941).
L’intervista segue in schede per facilitarne la lettura
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Nella primavera del 1942 anche i giovani alpini dislocati a Plezzo erano rientrati alle caserme di Tarcento. “Dopo una
lunga ed estenuante marcia a piedi, siamo arrivati nei pressi di Tarcento”, racconta Enrico, “stanchi morti, al limite delle nostre forze, per fortuna ad attenderci c’era la fanfara che suonando il “Trentatrè” ci ridiede coraggio e ci risollevò il morale”. All’inizio dell’estate del 1942 la Julia, ricostituita con i giovani della classe 1922 e diversi richiamati anche di classi anziane, venne mobilitata e radunata al completo nelle sue basi del Friuli. Insieme allaCuneense e alla Tridentina era stata inserita nel Corpod’Armata Alpino destinato a far parte dell’A.R.M.I.R.:Armata Italiana in Russia.
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Il 9 agosto 1942 Chiapponi, che nel frattempo era stato trasferito dalla 69a alla Compagnia Comando, con l’incarico di radio-telegrafista, parte in tradotta da San Giovanni al Natisone – Udine con il battaglione Gemona.
Alcuni alpini anziani, reduci dalla guerra di Grecia, erano talmente contenti di andare in Russia che al momento della partenza presero a sassate le vetrine degli uffici della stazione, ma l’incidente non poteva certo fermare un ingranaggio che ormai si era messo in movimento e il convoglio si mosse portando gli alpini verso un’altraspaventosa tragedia.
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Le tradotte ferroviarie trasportarono alpini, muli e materiali, dall’Italia all’Ucraina, seguendo un lungo percorso attraverso l’Europa: Brennero – Monaco di Baviera – Lipsia – Berlino — Varsavia — Minsk – Charkow – Izjum. Per trasportare il Corpo d’Armata Alpino occorsero 200 tradotte, per riportare in Italia i superstiti ne furono sufficienti 17! Un tenente di Artiglieria, addetto alla 2a Base tradotte C.S.I.R. di Vicenza, su una pagina “internet” descrive cosi la composizione dei convogli diretti al fronte: “Una carrozza passeggeri di II classe adibita a Comando, una di III classe coi sedili di legno per i militari di scorta, un carro merci adibito a cucina, uno per il deposito viveri e a seguire altri carri merci per la truppa, per i muli e il materiale. A volte davanti alla locomotiva veniva agganciato un carro pianale in funzione antimina. Il viaggio durava dai dieci ai quindici giorni e i treni, trainati da locomotive a vapore, erano condotti da ferrovieri tedeschi fino a Varsavia e da ferrovieri polacchi da li in poi”.
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Una volta giunti ad Izjum, in Ucraina, gli alpini percorsero a piedi circa altri 300 km, lungo piste polverose che si snodavano attraverso sterminati campi di girasoli, per raggiungere, ai primi di settembre del 1942, le postazioni loro assegnate sul Don. Il periodo trascorso in riva al Don, dall’arrivo fino all’inizio dell’offensiva sovietica del dicembre 1942, fu tutto sommato un periodo relativamente calmo. Gli alpini avevano costruito tutta una serie di rifugi e di bunker in previsione dell’inverno imminente
Rimangono ancora una trentina di sezioni. Per questo motivo preferiamo rendere disponibile l’intervista completa nel file PDF qui sotto:
E per chi volesse leggere tutta l’intervista con lo smartphone o il tablet, senza il download, può aprire il libro virtuale qui sotto
Ed infine ecco una piccola galleria di foto